Un mondo che cambia chiede anche ai nostri armadi di cambiare. Certo, il conflitto tra il nostro benessere e quello dell’ambiente e della società c’è. Ma grazie a scelte consapevoli possiamo superarlo.
La moda, arte a metà tra il sogno e la realtà! Vestirsi e piacersi sono peculiarità di tutti gli esseri umani, a qualsiasi latitudine. Non è un modo di dire: come insegna l’antropologia, è proprio una delle poche caratteristiche che accomuna popoli e culture di ogni Paese. Cambiare il nostro aspetto, i nostri colori e il nostro stile è un modo colorato per esprimere le nostre origini o la nostra personalità. Ma tutto questo è sempre sostenibile per il pianeta?
Il lato oscuro della moda “veloce”
Negli ultimi anni si è sviluppato un fenomeno preoccupante e dannoso per ecosistemi e esseri umani: la fast fashion, o “moda veloce”; un sistema produttivo che lancia collezioni su collezioni, a basso costo per il consumatore ma ad altissimo costo per il pianeta. Si stima infatti che l’industria della moda sia responsabile del 10% dell’inquinamento globale, che la rende il secondo principale inquinatore al mondo dopo il settore del trasporto aereo. Tinte inquinanti, metodi di produzione che mettono a rischio la salute dei cittadini e dei lavoratori (come la schiaritura del jeans), fibre misto acrilico che ad ogni lavaggio rilasciano microplastiche nell’ambiente, che finiscono poi nei nostri piatti quando ci gustiamo un piatto di pesce; sono solo alcuni dei lati oscuri più noti della moda veloce, nonostante i tentativi di greenwashing di molte aziende del settore.
Questo sistema dannoso produce collezioni nuove non più due volte l’anno come da ritmi tradizionali (Primavera-Estate e Autunno-Inverno) ma quasi ogni mese, sfruttando festività minori o inventandosele (Back to School, giornata del Single e tante altre). Tutto questo per massimizzare i profitti. Profitti che, però, sono prodotti anche a causa delle condizioni inumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti di tutta la filiera. Paghe misere, nessuna attenzione alla loro sicurezza, lavoro minorile, abusi quotidiani da parte dei sorveglianti e molestie sessuali e non sui lavoratori, soprattutto se donne: sono solo la punta dell’iceberg dell’universo della moda veloce. Fino alle estreme conseguenze: ricordi cosa accadde il 24 Aprile 2013 vicino a Dacca, in Bangladesh? Una palazzina, il Rana Plaza, crollò nella periferia di Savar, uccidendo 1.134 persone: tutti operai delle industrie tessili che producono per i marchi di fast fashion, costretti a lavorare nonostante da giorni fossero state segnalate crepe profonde e piccoli crolli in tutta la struttura.
L’alternativa etica
Quindi dobbiamo rinunciare a rinnovare i nostri armadi quando non ci rappresentano più? No. Esiste un’economia diversa, fondata su principi diversi e più sostenibili di quelli della fast fashion: la filiera della moda etica. La moda etica si basa su tre principi fondamentali: ricicla, riusa, riduci. Riciclare significa recuperare i materiali degli scarti della moda e reimmetterli in cicli produttivi sostenibili, dando vita a nuovi capi; riutilizzare vuol dire dare una possibilità a vestiti e accessori già indossati, per esempio tramite mercatini e fiere dell’usato e del vintage. Infine, ridurre significa non acquistare spinti dall’impulso di essere al passo con l’ennesimo trend del momento, ma amare e custodire i capi che già possediamo imparando a valorizzarli e abbinarli.
Ecco tre modi per cambiare il tuo armadio, senza cambiare pianeta
Un tuffo nel passato
C’erano una volta…i cenciaioli di Prato. Prima di diventare famosa per i capannoni di fast fashion, questa città della Toscana era nota per un’altra industria, ben più pregiata: quella della lana. Nelle strade della città donne, uomini e bambini sfilavano gli stracci e i cenci per ricavare nuovo tessuto e riutilizzarlo per nuove creazioni. Tra chiacchiere e segreti le mani veloci e abili delle donne di Prato sfilacciavano la trama di vecchi teli per tessere quella nuova di altri.
Oggi questa tradizione centenaria è stata riscoperta da un brand etico: Rifò. Questa realtà recupera gli scarti della moda e il second hand per reimmetterli in circolo. Prima c’è la selezione, che si fa sia con l’ausilio della tecnologia (macchine studiate per riconoscere la composizione delle fibre) sia attraverso il sapere e l’esperienza dei cenciaioli. Le loro mani studiano il tessuto e con l’aiuto del fuoco individuano le fibre misto acrilico, la lana e il cotone. Poi c’è la selezione per colore, prima fase di un ciclo di trattamenti che produrrà nuovo tessuto pregiato, pronto per essere utilizzato dall’industria della moda. Rifò, nata nel 2017 da un’idea di Nicolò Cipriani, prende questa lana “rinata” e la trasforma in nuove creazioni calde. Non solo il materiale, ma anche il sistema di vendita e promozione è sostenibile: con la “prevendita intelligente” Rifò lancia un nuovo prodotto mettendolo in prevendita per circa due settimane con un piccolo sconto. Così riescono a capire qual’è la domanda di quel bene, a produrlo nelle giuste quantità evitando sprechi e rimanenze di magazzino, rispettando i tempi necessari agli artigiani cenciaioli per la selezione e la lavorazione.
Inventare il futuro recuperando il presente
Nei vicoli di Genova si cela un piccolo tesoro del territorio, che raccoglie tessuti avanzati e valore umano per reinventare nuove creazioni. Si chiama Il Limone Lunare, un progetto che unisce diverse realtà sartoriali e sociali da Genova a Napoli e che si impegna a rigenerare abiti e rapporti sociali.
Nei vicoli di Genova questa associazione ha creato “uno spazio dove ricucire l’umanità”, che riunisce in un tessuto sociale rinnovato non solo le persone più fragili della Superba, ma anche realtà sartoriali del Meridione. La Bottega Solidale, aprendo loro i magazzini e fornendo loro tessuti di abiti invenduti, si impegna a sostenere la loro visione “EcoPoetica”: unire cioè il lavoro artistico della moda ai principi di etica ed ecologia. Il tutto “cucito insieme” da trame di solidarietà.
Materiali ecologici e dove trovarli
Fibra di banano, tagua e tanti altri. Abbiamo sempre pensato che le materie prime della moda fossero quelle canoniche: cotone, poliestere, pelle. Ma se invece l’innovazione fosse anche quella dei materiali?
La tagua, ad esempio: un vero e proprio avorio verde, il seme di una palma che una volta lavorato assume il colore e le forme che si ricavano dalle zanne di alcuni animali. Solo che invece di uccidere un elefante per sfruttare le zanne, questo materiale è cruelty free e assolutamente sostenibile. Un altro materiale innovativo è il tencel: una fibra sintetica che però si ricava dalla cellulosa degli alberi, quindi anche dagli scarti di lavorazione dell’industria del legno. In particolare si utilizza la cellulosa di faggi ed eucalipti da colture sostenibili, ben meno impattanti del cotone in termini di consumo idrico e di utilizzo di pesticidi. Il risultato? Un prodotto traspirante come il lino, più assorbente del cotone e caldo quasi quanto la lana.
E tu, cosa vorresti vedere nel tuo armadio?