O’Press: riscatto dietro le sbarre

“C’è poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore”. Lo disse ad un concerto Fabrizio De Andrè, il grande cantautore degli ultimi a cui sono dedicate molte delle nostre amatissime t-shirt che trovi nei negozi. Magliette che sono il segno tangibile di un progetto davvero speciale.

Essere i “cattivi”, spesso, non è una scelta. Nelle fiabe che ci raccontavano da piccoli ci insegnavano a distinguere nettamente: da una parte l’eroe, ovviamente sempre integerrimo e tutto d’un pezzo, e l’antagonista, spesso dipinto come un essere brutto e spregevole. Ma è davvero così? La realtà è ben diversa dalla fiaba. Il problema, è che in pochi raccontano la storia dalla prospettiva di Caino.

I numeri del carcere

L’articolo 27 della Costituzione italiana scrive: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Troppo spesso queste parole restano lettera morta, e il carcere diviene invece un luogo di abbandono e punizione. Nelle carceri italiane a tutto questo si somma anche il sovraffollamento: secondo i dati di Associazione Antigone, il tasso di occupazione medio delle carceri è del 110,6%; cioè ci sono troppe persone nei penitenziari. Su una stima di 51.249 posti occupabili, 56.674 sono quelli effettivamente occupati. In strutture spesso fatiscenti, non a norma e vecchie quanto la Repubblica. E no, non è un modo di dire. L’associazione per l’equo trattamento carcerario ha infatti visitato 97 dei 189 istituti di pena italiani. Il 20 % di questi era stato costruito tra il 1900 e il 1950 e un altro 20 % prima del 1900.

Giorni interminabili senza nessuna distrazione o prospettiva in stanze affollate e strette, le visite dei parenti brevi e sorvegliate, la violenza documentata di troppi agenti penitenziari: tutti ingredienti per una pozione di depressione e disperazione. Fino alle estreme conseguenze: 85 il numero record dei suicidi in carcere nel 2023. Un numero che potrebbe purtroppo essere superato quest’anno, visto che solo fino a Marzo si contano già 25 detenuti controllare ulteriori prima di pubblicare!! che si sono tolti la vita. Tutto questo dolore, poi, si dimostra inutile alla prova delle statistiche: con il carcere punitivo infatti almeno 7 detenuti su 10 tornano a delinquere. E così il problema della violenza e del crimine non trova mai soluzione.

I pregiudizi del carcere
Eppure, tanti sono ancora i pregiudizi sui carcerati di chi il carcere lo vede dall’esterno, e non dietro le sbarre. Gli stranieri, ad esempio, sono tutto fuorché la maggioranza dei rei: rappresentano infatti il 42% dei detenuti se consideriamo chi deve scontare meno di un anno, appena il 16% di chi ha una pena residua superiore a 20 anni. Solo il 6,6 % (123 persone) di chi sta scontando un ergastolo è straniero. E in generale, in Italia, solo il 31,3 5 di tutta la popolazione carceraria è straniero, cioè il 0,34 % delle persone straniere soggiornanti in Italia. In carcere, inoltre, non ci finiscono “solo pericolosi mafiosi”, anzi: i reati di associazione di stampo mafioso puniti in carcere sono appena 9.068, contro le 32.050 persone condannate per reati contro il patrimonio.

Una soluzione umana
Eppure una soluzione esiste: si chiama economia carceraria. Economia carceraria vuol dire portare occupazione e attività, anche ricreative, nelle carceri dove i detenuti possono mettersi alla prova e imparare un mestiere. Un sollievo soprattutto per persone che altrimenti sarebbero costrette a poche ore d’aria al giorno e che permette in molti casi di rimettersi sulla strada giusta.

L’economia carceraria può agire in due modi: accompagnare i detenuti dopo il periodo di pena, o durante gli anni di reclusione. Nel primo caso si tratta di restituire l’individuo alla comunità, ad esempio inserendolo in un’attività lavorativa che gli o le permette di mettere “in curriculum” un’esperienza legale e remunerata. Nel secondo caso invece i o le detenute sono impegnati durante il periodo di detenzione, con il benefico effetto di distrarre dalla condizione carceraria e di fornire loro gli strumenti formativi per la loro futura vita al di fuori.

Questo modello, come tante cose, non lo abbiamo inventato noi. Da decenni ormai molti Paesi, soprattutto quelli dell’area scandinava, hanno sperimentato con risultati straordinari le pene alternative al carcere. Un caso emblematico è la Svezia, dove i numeri dei carcerati sono drasticamente diminuiti e si è deciso di puntare molto di più sul benessere del detenuto e il suo reintegro nella società. Ma anche in Paesi noti per il loro pessimo regime carcerario come gli Stati Uniti, qualcosa sta cambiando. Ad esempio nel 2021 nella prigione Allan B. Polunsky, Texas, è stata sperimentata una radio carceraria The Tank che coinvolge detenuti ergastolani o addirittura condannati a morte. I risultati sulla socialità dei detenuti e sulla loro salute psicologica sono stati davvero incoraggianti.

La nostra parte: il progetto O’PRESS
Dolci, vini, prodotti da orto, ma anche birre e…t-shirt. Sì, anche il nostro progetto O’Press fa parte di questo arcipelago di associazioni impegnate nel riscatto sociale delle persone detenute. Ecco come.

Il progetto O’Press nasce nel 2008 dalla collaborazione tra Bottega Solidale, l’Istituto Vittorio Emanuele-Ruffini, l’associazione Teatro Necessario e la Fondazione De Andrè. Sulle nostre magliette trovi i versi del grande poeta Faber: un’ eredità culturale commovente di un uomo che ha sempre creduto nel riscatto degli ultimi e denunciato l’ipocrisia della “società per bene”.

O’Press però guarda anche lontano, molto più lontano, al di là delle sbarre. Il cotone su cui vengono stampate le nostre t-shirt infatti è biologico, e prodotto da fornitori certificati fairtrade selezionati con cura e con cui instauriamo una collaborazione alla pari e solidale.

Tutto il processo di stampa serigrafica avviene nella Casa Circondariale di Marassi e viene curato da (attualmente) due persone detenute assunte del carcere e quattro tirocinanti del liceo Vittorio Emanuele Ruffini. I “nostri ragazzi” di Marassi sono assunti regolarmente dalla nostra cooperativa, imprimono colori brillanti con cura maniacale sulle vostre t-shirt che poi, grazie al supporto della rete, arrivano in quasi tutta Italia nei vostri negozi fair trade di fiducia. Certo a volte qualche intoppo c’è. Va pur sempre ricordato che è difficoltoso, per le procedure carcerarie, far uscire le magliette e far entrare i materiali in modo agile e veloce. In più, come tutti i lavori artigianali, ogni pezzo è unico e richiede tempo e pazienza. Ma quando i risultati arrivano, ad esempio grazie alle collaborazioni, siamo in tre a esultare: tu, che acquisti una t-shirt pazzesca con le frasi del mitico Faber che tutt* ti invidieranno; noi, perché proseguiamo la nostra battaglia a sostegno dei detenuti; e i detenuti, che vedono il loro lavoro apprezzato e riconosciuto.

Ti è venuta voglia di vestire solidale? Puoi trovare le nostre t-shirt nelle nostre Botteghe di Via Galata e Porto Antico e in tante botteghe partner in tutta Italia. Non le trovi nella tua città? Niente panico: abbiamo un e-commerce! E se invece sei una community o un’azienda, puoi scriverci a opress@bottegasolidale.it e mandarci la tua richiesta: saremo felicissimi di stampare le tue magliette.

Il carcerato non è l’orco delle fiabe. Può e dovrebbe essere messo nelle condizioni di rimediare ai suoi errori e ricominciare. Perché come cantava De André “ se non sono gigli, son pur sempre figli”.